BUON 1 MAGGIO 2022

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Sulle piazze del mondo abbondano statue e monumenti dedicati a singoli testimoni di coraggio. Sono ingombranti, molti di loro sarebbero scesi volentieri dal piedistallo per vivere ancora un poco. Di quei manufatti ammiro solo quello al soldato ignoto, che si trovò a fronteggiare l’osceno dovere di una guerra e chinò il capo per obbedienza.
Il coraggio appartiene agli anonimi.
Non è dell’alpinista che affronta la sua parete verticale. Lassù lui compie l’esercizio festivo di una volontaria esposizione al rischio. Intorno alle sue mosse si appuntano gli sguardi di un circo di spettatori più o meno competenti.
Conosco invece il coraggio obbligatorio e quotidiano di chi va al lavoro in condizioni d’incerta sicurezza, minacciato dai più vari agguati, ridotti dalla cronaca a incidenti, dove si conta la decimazione della vita operaia. Dal fondo di miniere, alle impalcature dei cantieri, dalle cave di pietra alle lavorazioni di sostanze tossiche, alle fonderie, alle presse, minuti, ore, giornate, settimane, mesi, anni a sporgersi sul rischio per necessità: lì ho conosciuto l’odore del coraggio.
Non è da raccogliere in essenze e farne profumo.
Il coraggio puzza di sudore, di sputo, di sangue, di bestemmia e di supplica, di fogna e di furore. La paura incallita affiora in superficie e chiede aiuto, la paura maledetta e sacrosanta rende quelle ore di lavoro un quotidiano sacrificio d’Isacco.
Ho ritrovato in un cassetto una mia tessera sindacale, iscritto alla CGT, anno 1982. Ero in Francia, operaio su cantieri, il proprietario della ditta non pagava i salari. Occupammo gli uffici, dormimmo sul pavimento, era dicembre, Natale, Capodanno, tagliata fornitura di luce e di riscaldamento.
Quaranta operai di tre continenti condivisero tutto.
La CGT ci assicurava un pasto al giorno, un tagliando per andare in una mensa, la domenica no perché era chiusa.
Eravamo naufraghi in terraferma. Quella tessera sindacale ci dava la dignità di appartenere a una comunità che non lasciava andare i suoi membri alla malora.
Quella comunità era stata creata da persone che avevano pagato caro, peggio di noi, la lotta per i diritti sul lavoro. Quelle persone venute prima ci hanno spianato il cammino battendo come alpinisti un passaggio in neve alta affrontando il rischio di venire travolti dalla valanga della reazione.
Nessuno li costringeva a esporsi, solo il loro sentimento di giustizia che a volte fa di una persona una prua che apre il mare in due.
Perché la giustizia non è un codice di leggi, ma un sentimento che scalda e salda le ragioni e il fiato, la dignità e la colonna vertebrale.
A questa temperatura corporea la paura e il coraggio sono componenti della stessa energia e producono la storia del progresso umano.

Tratto da “L’attrito della paura” di Erri De Luca pubblicato nel Notiziario In Dialogo della Rete Radié Resch di Quarrata, 2014.

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