L’esperienza delle case alloggio dopo 40 anni di HIV: ripartiamo dai principi, alla luce dei cambiamenti nella malattia e delle prospettive nelle politiche sociali e sanitarie post pandemia da Covid.
Il periodo emergenziale che abbiamo attraversato ha messo a dura prova i sistemi di cura sia in termini generali che all’interno delle nostre case.
La fatica gestionale ed organizzativa per certi aspetti sembra però assumere caratteristiche strutturali legate alle questioni della cronicità/cronicizzazione degli ospiti e del nostro stesso
lavoro e alla prevalenza di situazioni di elevata complessità/carico assistenziale delle persone che accogliamo oltre che al turn-over degli operatori.
Emerge il tema della sostenibilità, con le note “differenziazioni” regionali, in un quadro diventato ancora più problematico a causa del periodo emergenziale e dalla mancanza, tranne in rari casi, di forme di sostegno o ristoro.
Si segnala la diminuzione delle richieste di accoglienza che, in parte, potrebbe essere interpretata come conseguenza del periodo emergenziale ma, più in generale, potrebbe essere indice del progressivo cambiamento nel numero e nei bisogni delle persone con HIV in Italia a 40 anni dai primi casi.
È condivisa la preoccupazione che l’esperienza maturata in questi anni possa disperdersi ma si ritiene, per contro, che meriti di essere riletta e valorizzata anche alla luce della “capacità di
tenuta” in questo periodo emergenziale.
Da queste considerazioni deriva il bisogno di ripercorrere la nostra storia, a partire dai valori di fondo del modello casa alloggio raccolti nella Carta di Sasso Marconi, e di mettersi a confronto con i cambiamenti nelle politiche sociali e sanitarie nel nostro paese che non sempre riusciamo ad intercettare efficacemente. Una seconda direzione condivisa riguarda l’opportunità di promuovere
un’apertura rispetto alla possibilità delle case di dare risposta a bisogni di accoglienza ed accompagnamento di persone fragili/malate che non siano necessariamente affette da HIV.
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